Sindaci di una Spa rimettono di tasca propria per mancati controlli sulla gestione aziendale
Buongiorno collega,
“dopo il fallimento di una Spa, i sindaci non otterranno il compenso professionale se, quando l’impresa è in difficoltà, di fronte ai segnali di allarme mancano di convocare l’assemblea dei soci per l’aumento del capitale o non attivano il pubblico ministero per consentirgli di provvedere. Oppure non reagiscono ad atti di dubbia regolarità degli amministratori.”
I componenti dell’organo di controllo, in somma, scontano la loro stessa inerzia.
E’ quanto emerge dalle ordinanze 4617/24 e n. 4315/24, rispettivamente del 21 febbraio 2024 e del 19 febbraio 2024, pubblicate dalla prima sezione civile della Cassazione.
Il caso: l’ordinanza n. 4617/24. I ‘controllori’ della società non possono limitarsi a richiamare gli amministratori, ma devono agire per evitare il peggio.
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Il principio
In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci delle società per azioni dall’articolo 2407 c.c., comma secondo, non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano in contrasto con tale dovere: è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al pubblico ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’articolo 2409 c.c.
Il caso: l’ordinanza n. 4315. I sindaci della società rispondono in prima persona se non reagiscono di fronte ad atti “a rischio” da parte degli amministratori. Affinché si configuri la responsabilità dei primi, del resto, non è necessario che sia previsto in modo espresso dalla legge un particolare comportamento la cui inosservanza integri In condotta omissiva: l’organo di controllo, per esempio, ha l’obbligo di attivarsi anche quando in una situazione molto compromessa l’organo di gestione non decide di portare i libri in tribunale. Una volta fallita comunque la società, la curatela eccepisce l’inadempimento e i professionisti perdono il diritto al compenso se non riescono a provare il corretto svolgimento dell’incarico. Diventa definitiva la decisione che non ammette l’insinuazione in privilegio al passivo della fallita del credito per l’attività svolta dai professionisti. Nonostante la “situazione gravemente deficitaria”, gli amministratori della Spa non procedono all’auto fallimento: l’assemblea straordinaria della società delibera invece di procedere con il concordato preventivo e i sindaci non esprimono alcun parere. Di fronte all’eccezione di inadempimento proposta in giudizio dalla curatela, i professionisti nulla allegano alla prima difesa utile né articolano mezzi istruttori sul punto. L’organo di controllo, viceversa, è tenuto ad assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede: nei doveri connessi al mandato rientra anche la segnalazione delle irregolarità dell’assemblea o la denuncia all’autorità giudiziaria. Non é contestato, nel caso specifico, il fatto storico in base al quale la curatela lamenta la violazione dal dovere generale di vigilanza esigibile dai sindaci, cioè che la società sia in “rosso”. Davanti al giudice del merito, tuttavia, i professionisti si limitano a dedurre la scarsa importanza dell’eventuale inadempimento, mentre l’omessa vigilanza sulla società ne ha aggravato il dissesto.
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